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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto dal Comune di Civitavecchia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv.to xxxxxxxxxx, ed elettivamente domiciliato presso l’avv.  xxxxxxxxxx, in Roma, via xxxxx, n. xx;

contro

Wind Telecomunicazioni s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'avv.to xxxxxxxxxx, ed elettivamente domiciliato presso  lo stesso, in Roma, via della xxxxxxx;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione II, n. 6404/2001;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della società appellata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 12-2-2002 relatore il Consigliere Roberto Chieppa.

Uditi l'Avv. xxxxxxxxxx e l'Avv. xxxxxxxxxx;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

Con il ricorso in appello in epigrafe il Comune di Civitavecchia ha chiesto l’annullamento della suindicata sentenza con la quale il Tar del Lazio ha accolto il ricorso proposto da Wind telecomunicazioni s.p.a. avverso la deliberazione del Consiglio Comunale di Civitavecchia n. 173 del 30-12-1999, avente ad oggetto l’approvazione del regolamento comunale per l’installazione di antenne e annessi apparati di telefonia cellulare ed avverso le note del Dirigente del settore edilizia del Comune di Civitavecchia relative al mancato rilascio di concessioni edilizie per la realizzazione di alcune stazioni radio per telefonia cellulare.

L’appello viene proposto per i seguenti motivi:

1) irricevibilità dei ricorsi proposti in primo grado e riuniti dal Tar, per la tardività degli stessi, applicandosi alla fattispecie il termine breve di cui all’art. 19 della legge n. 135/97;

2) erroneità della impugnata sentenza nella parte in cui è stato ritenuto che il regolamento annullato non rientrasse nelle competenze urbanistiche spettanti ai Comuni, risultando inapplicabile alla fattispecie la legge n. 36/2001.

La società appellata si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione dell’appello.

All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

D I R I T T O

1. In via preliminare deve essere respinto il motivo di appello, relativo alla irricevibilità dei ricorsi proposti in primo grado e riuniti dal Tar, per la tardività degli stessi, applicandosi alla fattispecie il termine breve di cui all’art. 19 della legge n. 135/97.

Né l’impugnato regolamento, né i dinieghi di rilascio delle richieste concessioni edilizie per la realizzazione degli impianti radio per la telefonia cellulare possono, infatti, essere ritenuti “provvedimenti di esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità”, di cui al citato art. 19, in quanto la disposizione speciale riguarda soltanto le opere riferibili alla Pubblica amministrazione, anche nella sua nozione allargata derivante dall’inclusione tra le amministrazioni aggiudicatici anche di soggetti aventi formale natura privata.

Il carattere eccezionale della norma non consente di estenderla in via analogica ad opere private in virtù dell’utilizzo delle stesse per l’esercizio del servizio di telefonia mobile.

I ricorsi proposti in primo grado sono stati quindi tempestivamente proposti.

2. Con ulteriore motivo il Comune appellante deduce l’erroneità della impugnata sentenza nella parte in cui è stato ritenuto che il regolamento annullato non rientrasse nelle competenze urbanistiche spettanti ai Comuni e contesta la ricostruzione del quadro normativo operata dal giudice di primo grado ed anche il richiamo alle disposizioni della legge quadro n. 36/2001, temporalmente inapplicabile alla fattispecie in esame.

Prima di esaminare il motivo appare opportuno richiamare la ricognizione del quadro normativo di riferimento, effettuata dal Tar.

Il giudice di primo grado ha osservato come l'art. 1, comma IV, lett. c), della l. 15 marzo 1997 n. 59 abbia escluso dall'applicazione delle disposizioni dettate ai primi due precedenti commi (riguardanti il conferimento alle Regioni e agli Enti locali di "funzioni e compiti amministrativi" "relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, nonché" quelli "… localizzabili nei rispettivi territori in atto esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrali o periferici, ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici), "i compiti di rilievo nazionale del sistema di protezione civile, per la difesa del suolo, per la tutela dell'ambiente e della salute, per gli indirizzi, le funzioni e i programmi nel settore dello spettacolo, per la ricerca, la produzione, il trasporto e la distribuzione di energia".

In attuazione della citata l. 59 del 1997- continua il Tar - veniva poi emanato il D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 112, il cui art. 69 ha stabilito che, ai sensi dell'art. 1, comma IV, lettera c), della l. 15 marzo 1997 n. 59, sono compiti di rilievo nazionale per la tutela dell'ambiente quelli relativi alla determinazione di valori limite, standard, obiettivi di qualità e sicurezza e norme tecniche necessari al raggiungimento di un livello adeguato di tutela dell'ambiente sul territorio nazionale (lett. e).

Il successivo art. 83 del citato Decreto ha poi specificato che, ai sensi dell'art. 1, comma IV, lettera c), della l. 15 marzo 1997 n. 59, hanno rilievo nazionale i compiti relativi: - alla disciplina del monitoraggio della qualità dell'aria: metodi di analisi, criteri di installazione e funzionamento delle stazioni di rilevamento; criteri per la raccolta dei dati (lett. a); - alla fissazione di valori limite e guida della qualità dell'aria (lett. b); - alla fissazione e aggiornamento delle linee guida per il contenimento delle emissioni, dei valori minimi e massimi di emissione, metodi di campionamento, criteri per l'utilizzazione delle migliori tecnologie disponibili e criteri di adeguamento degli impianti esistenti (lett. e); - alla determinazione dei criteri per l'elaborazione dei piani regionali di risanamento e tutela della qualità dell'aria (lett. h); - alla definizione di criteri generali per la redazione degli inventari delle fonti di emissione (lett. i).

Il Tar richiama poi la l. 31 luglio 1997 n. 249 (recante istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo); la quale ha disposto (art. 1, comma XV) che: - l'Autorità "vigila sui tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana e verifica che tali tetti, anche per effetto congiunto di più emissioni elettromagnetiche, non vengano superati, anche avvalendosi degli organi periferici del Ministero delle comunicazioni" (il rispetto di tali indici rappresentando condizione obbligatoria per le licenze o le concessioni all'installazione di apparati con emissioni elettromagnetiche); - e che "il Ministero dell'ambiente, d'intesa con il Ministero della sanità e con il Ministero delle comunicazioni, sentiti l'Istituto superiore di sanità e l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (ANPA), fissa entro sessanta giorni i tetti di cui al presente numero, tenendo conto anche delle norme comunitarie".

Il decreto ministeriale al quale ha operato rinvio la disposizione da ultimo riportata risulta essere stato poi emanato (dal Ministro dell'ambiente, d'intesa con i Ministri delle Comunicazioni e della sanità) in data 10 settembre 1998 con il n. 381.

Il giudice di primo grado sottolinea che con la relativa disciplina sono stati fissati: - i valori limite di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici connessi al funzionamento ed all'esercizio dei sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell'intervallo di frequenza compresa fra 100 kHz e 300 GHz (art. 1); - i limiti di esposizione (art. 3, con rinvio alla Tabella 1); - le misure di cautela e gli obiettivi di qualità (art. 4); - le azioni di risanamento (art. 5); - ulteriormente procedendosi (allegati A e B) alla individuazione dei relativi concetti definitoti e delle applicabili unità di misura, nonché delle modalità ed esecuzione delle misure e delle valutazioni.

Di particolare interesse ai fini del decidere vengono ritenute dal Tar le disposizioni di cui al II e III comma dell'art. 4 del citato Decreto interministeriale, laddove si precisa che: -in corrispondenza di edifici adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore non devono essere superati i seguenti valori, indipendentemente dalla frequenza, mediati su un'area equivalente alla sezione verticale del corpo umano e su qualsiasi intervallo di sei minuti: 6 V/m per il campo elettrico, 0,016 A/m per il campo magnetico intesi come valori efficaci e, per frequenze comprese tra 3 Mhz e 300 GHz, 0,10 W/m2 per la densità di potenza dell'onda piana equivalente; - "nell'ambito delle proprie competenze, fatte salve le attribuzioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, le Regioni e le Province autonome disciplinano l'installazione e la modifica degli impianti di radiocomunicazione al fine di garantire il rispetto dei limiti di cui al precedente articolo 3 e dei valori di cui al precedente comma, il raggiungimento di eventuali obiettivi di qualità, nonché le attività di controllo e vigilanza in accordo con la normativa vigente, anche in collaborazione con l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, per quanto attiene all'identificazione degli impianti e delle frequenze loro assegnate".

Sulla base di tale quadro normativo, applicabile alla fattispecie in esame, il Tar rileva che comunque l'attribuzione alle Regioni ed alle Province autonome di competenze relative al raggiungimento di eventuali obiettivi di qualità non appare giustificare l'introduzione di limiti (ulteriori e/o diversi) rispetto a quanto nel Decreto stesso stabilito; e ciò in quanto il perseguimento dell'anzidetta finalità - e, con esso, la consentita disciplina dell'installazione e della modifica degli impianti di radiocomunicazione - risulta delimitato dall'esigenza di "garantire il rispetto dei limiti di cui al precedente articolo 3 e dei valori di cui al precedente comma II". Viene anche escluso che un siffatto potere "derogatorio" - rispetto alla delineazione della materia fornito dal quadro normativo statale di riferimento - sia individuabile nell'ambito delle applicabili disposizioni di legge regionale (artt.. 113, 114 e 115 della l.r. 6 agosto 1999 n. 14, che attribuiscono ai Comuni compiti concernenti la valutazione dei progetti di risanamento nonché la vigilanza sull'osservanza dei limiti e dei parametri previsti dalla normativa vigente in materia di tutela dall'inquinamento elettromagnetico e sull'esecuzione delle azioni di risanamento in relazione agli impianti di telefonia mobile).

Il giudice di primo grado, infine, richiama le disposizioni della sopravvenuta legge n. 36/2001 non per applicarle alla fattispecie, ma per evidenziare la conferma del delineato quadro normativo di riparto di competenze.

Viene infatti sottolineato come, fra le finalità dell'anzidetta normativa, l'art. 1, I comma, lett. a) ricomprenda l'esigenza di assicurare la tutela della salute dei lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione dagli effetti dell'esposizione a determinati livelli di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ai sensi e nel rispetto dell'art. 32 della Costituzione, e che il successivo art. 4, I comma, lett. a), ha  attribuito allo Stato l'esercizio delle funzioni relative "alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità … in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee in relazione alle finalità di cui all'art. 1". Il successivo II comma, lett. a), ha quindi demandato la fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, nonché delle tecniche di misurazione e rilevamento dell'inquinamento elettromagnetico ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare su proposta del Ministro dell'Ambiente, di concerto con il Ministro della Sanità.

Quanto alle attribuzioni riservate alle Regioni, alle Province ed ai Comuni – conclude il Tar - l'art. 8 della l. 36/2001 ha stabilito che: -rientra nella competenza delle Regioni, "nel rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, nonché dei criteri e delle modalità fissati dallo Stato … l'esercizio delle funzioni relative all'individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, ai sensi della legge 31 luglio 1997 n. 249 e nel rispetto del decreto di cui all'articolo 4, comma 2, lettera a), e dei principi stabiliti dal regolamento di cui all'articolo 5" (I comma, lett. a); - le Regioni, "nelle materie di cui al comma 1, definiscono le competenze che spettano alle province ed ai comuni, nel rispetto di quanto previsto dalla legge 31 luglio 1997 n. 249" (comma IV); -"i Comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione delle popolazioni ai campi elettromagnetici" (comma VI).

In sostanza il giudice di primo grado dà atto della inapplicabilità della legge quadro 36 del 2001 alla presente vicenda contenziosa, sviluppatasi anteriormente all'entrata in vigore della normativa da essa introdotta, ma ha ritenuto che la nuova normativa contribuisca a fornire utili elementi di giudizio soprattutto riguardo alla ripartizione di attribuzioni in subiecta materia fra Stato, Regioni ed Amministrazioni comunali.

Al quadro normativo descritto dal Tar deve aggiungersi che la legge n. 36/2001 abbraccia profili attinenti a diverse materie, rientranti alcune nella legislazione statale esclusiva ed altre nella legislazione concorrente, come definite a seguito della recente riforma del titolo V della Costituzione (legge costituzionale 18-10-2001 n. 3).

La legge quadro si ispira, infatti, a finalità di tutela dell’ambiente (rientranti nella legislazione esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, comma 1, lett. s) della Cost.) ed anche alla tutela della salute (materia di legislazione concorrente, unitamente a quella dell’ordinamento della comunicazione).

L’attinenza della materia anche alla tutela dell’ambiente e comunque il valore di principio fondamentale della disciplina inerente i criteri di fissazione dei limiti di esposizione costituiscono elementi in base a cui ritenere la compatibilità di una uniforme fissazione dei predetti limiti sull’intero territorio nazionale anche alla luce del mutato quadro costituzionale di riferimento, potendo comunque le competenze attribuite alla regioni e agli enti locali essere esercitate nel rispetto dei limiti di esposizione fissati a livello centrale.

3. Precisato il quadro normativo di riferimento, come delineato dal giudice di primo grado, si può passare ora all’esame del motivo di appello, con cui il Comune contesta che il sistema di riparto di competenze sia quello richiamato dal Tar e soprattutto invoca il legittimo esercizio delle proprie competenze urbanistiche di assetto del territorio.

Il motivo è infondato.

Deve concordarsi con il Tar sul fatto che sia prima dell’entrata in vigore della legge n. 36/2001, sia successivamente, la fissazione di limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da quelli previsti dallo Stato non rientri tra le competenze attribuite ai Comuni.

Infatti, prima dell’entrata in vigore della legge n. 36/2001, ai Comuni spettavano le sole competenze in materia di uso del territorio e non anche in ordine alla disciplina dell'installazione degli impianti di radiocomunicazione sotto il profilo della compatibilità con la salute umana (v. Cons. Stato, VI, ord. 6-2-2001, n 865).

La disciplina introdotta con l’impugnato regolamento appare essenzialmente preordinata a garantire la tutela della pubblica salute da ipotizzabili fonti di inquinamento elettromagnetico: vengono fissati limiti di emissione più rigorosi rispetti a quelli stabiliti dal D.M. 10 settembre 1998 n. 381. e  individuate distanze minime delle stazioni radio base dagli edifici e, in particolare, uno specifico regime delle distanze per gli “edifici a maggiore tutela” (scuole, ospedali, case di cura e di riposo, parchi giochi e relative pertinenze).

Dalle stesse premesse del regolamento emerge che lo stesso è stato adottato al principale fine di “minimizzare l’irradiazione della popolazione residente nei pressi delle singole antenne di impianti rice-trasmittenti”.

E’ quindi evidente che il Comune, al contrario di quanto sostenuto in giudizio, abbia voluto esercitare competenze in materia di tutela della salute, che non gli spettavano e che nello specifico settore erano riservate allo Stato.

Peraltro, l’esercizio delle proprie competenze in materia urbanistica avrebbe comportato la necessità delle procedure previste per l’adozione degli strumenti urbanistici con tutte le connesse garanzie partecipative, che consentono agli interessati la presentazione di puntuali osservazioni  e presuppone comunque una adeguata istruttoria (v. Cons. Stato, VI, ord. 22-5-2001, n. 2903 e ord. 2-10-2001, n. 5442)

Inoltre, anche il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia – urbanistica e il dichiarato intento di esercitare le proprie competenze in materia di governo del territorio non possono giustificare l’adozione di misure che nella sostanza costituiscono indirettamente una deroga ai predetti limiti di esposizione fissati dallo Stato, quali ad esempio il generalizzato divieto di installazione delle stazioni radio base per la telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee a destinazione residenziale, che ha lo stesso effetto di sovrapporre una determinazione cautelativa ispirata al principio di precauzione alla normativa statale che ha fissato i limiti di radiofrequenza, di fatto eludendo tale normativa.

Stesso discorso può essere fatto anche per la previsione di specifiche distanze fisse minime tra gli impianti in questione ed ogni tipo di abitazione (diverse dalle ordinarie distanze fissate per gli edifici), trattandosi di misura, che non trova giustificazione sotto il profilo urbanistico – edilizio e che di fatto costituisce anch’essa una deroga ai limiti fissati dallo Stato.

Si ribadisce che l’introduzione di misure tipicamente di governo del territorio (distanze, altezze, localizzazioni ecc.) trova giustificazione solo se sia conforme al principio di ragionevolezza ed alla natura delle competenze urbanistico – edilizie esercitate e sia sorretta da una sufficiente motivazione sulla base di risultanze, acquisite attraverso una istruttoria idonea a dimostrare la ragionevolezza della misura e la sua idoneità al fine perseguito.

Le precedenti considerazioni valgono anche alla luce del vigente quadro normativo, in cui alle competenze dei Comuni dirette ad assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti, si aggiunge quella di "minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici" (art. 8, comma 6 della legge n. 36/2001).

La previsione di tale competenza in aggiunta a quella urbanistica sembra voler significare che si tratti di una competenza diversa, che comunque deve essere esercitata nel rispetto del descritto quadro normativo di riferimento: tali misure non possono quindi in alcun modo prevedere limiti generalizzati di esposizione diversi da quelli previsti dallo Stato, né possono di fatto costituire una deroga generalizzata o quasi a tali limiti, essendo invece consentita l’individuazione di specifiche e diverse misure, la cui idoneità al fine della “minimizzazione” emerga dallo svolgimento di compiuti ed approfonditi rilievi istruttori sulla base di risultanze di carattere scientifico, come indicato dal Tar.

La questione peraltro neanche si pone in relazione alla fattispecie in esame, antecedente all’entrata in vigore della nuova normativa, che non può quindi essere invocata a fondamento del potere esercitato neanche con riguardo all’adozione di alcune misure di minimizzazione contenute nel regolamento (distanze dai c.d. “siti sensibili”), non costituenti una deroga generalizzata ai limiti di esposizione, ma finalizzate alla tutela della salute pubblica (competenza che, come già detto, non era all’epoca attribuita ai Comuni ed oggi lo è ai sensi della citata ultima parte del comma 6 dell’art. 8 della legge n. 36/2001, inapplicabile – si ribadisce – alla presente controversia).

4. In conclusione, l’appello deve essere  respinto.

Considerata la novità della questione, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P. Q. M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 12-2-2002 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Giorgio Giovannini                                                      Presidente

Giuseppe Romeo                                                        Consigliere

Giuseppe Minicone                                                     Consigliere

Lanfranco Balucani                                                     Consigliere

Roberto Chieppa                                                        Consigliere Est.

 

Il Presidente

 

L’Estensore                                                                            Il Segretario

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

 

il.....................................

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

 

 

 

 

 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)

 

Addì........................................copia conforme alla presente è stata trasmessa

 

al Ministero..............................................................................................

 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642

 

                                                                                                              Il Direttore della Segreteria



 

 

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