Corte di cassazione, Sezione III, Sentenza 27
luglio 2000, n. 9893
Sentenza
sul ricorso proposto da: (...) , elettivamente domiciliato in (...), presso lo
studio dell'avvocato (...), che lo difende, giusta delega in atti;
ricorrente
contro Enel Spa, in persona (...), nella qualità di instintore della società,
elettivamente domiciliato in (...), presso lo studio dell'avvocato (...), che lo
difende unitamente agli avvocati (...), giusta delega in atti;
controricorrente
avverso la sentenza n. 930-98 della Corte d'Appello di Napoli, emessa il 25
marzo 1998, depositata il 23 aprile 1998; RG.2346-97;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09-12-99 dal
Consigliere Dott. (...);
udito l'Avvocato (...);
udito l'Avvocato (...);
udito il Pm in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
(...) che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
1. - (...) conveniva in giudizio l'Enel Spa con la
citazione a comparire davanti al tribunale di Napoli, notificata il 25 maggio
1995.
L'attore si dichiarava proprietario di un'abitazione nel comune di Lapio.
Esponeva che il Ministro dei lavori pubblici, con decreto del 6 novembre 1992,
aveva autorizzato l'Enel a costruire e mantenere in esercizio un elettrodotto
inamovibile con tensione superiore a 220 Kv. Il progetto prevedeva il passaggio
di un tratto dell'elettrodotto per il comune di Lapio e prefigurava che la linea
elettrica sarebbe stata collocata a distanza non superiore a 28 - 30 metri dal
piano di campagna del giardino e della via di accesso ed a circa 31 metri dalla
casa.
Sosteneva che le conoscenze acquisite sugli effetti delle radiazioni generate da
elettrodotti a tensione compresa tra i 220 ed i 380 Kv. avevano consentito di
dimostrare che tali radiazioni presentano un'incidenza sul manifestarsi di
patologie oncogene nelle persone che vi sono esposte. Si configurava perciò una
situazione di pericolo grave ed irreparabile per la salute sua e del suo nucleo
familiare.
Concludeva chiedendo fossero accertati e dichiarati la pericolosità e quindi il
danno derivante alla salute sua e del suo nucleo familiare per l'esposizione ai
campi elettromagnetici generati dall'elettrodotto; chiedeva che l'Enel fosse
pure condannato a risarcire il danno costituito dalla diminuita abitabilità
dell'immobile ed a rimuovere le opere.
2. - L'Enel si costituiva in giudizio, resisteva
all'accoglimento della domanda, proponeva dal canto suo una domanda, chiedendo
fosse pronunciata una sentenza di costituzione di servitù coattiva di
elettrodotto.
Il convenuto esponeva che la linea elettrica di cui erano stati autorizzati
costruzione ed esercizio rientrava nel piano di potenziamento degli impianti di
produzione e trasporto nell'Italia meridionale. Il decreto del Ministro dei
lavori pubblici era stato emanato a conclusione di un procedimento in cui
l'ente, insieme con le altre numerose amministrazioni interessate dal passaggio
della linea, aveva ricercato una soluzione di tracciato che contemperasse le
esigenze della pubblica utilità dell'opera con gli interferenti interessi
pubblici e privati, sì che il percorso prescelto poteva essere considerato il
più idoneo. Sulla base del decreto ministeriale, essendo state le opere
dichiarate di pubblica utilità, urgenti ed indifferibili, con decreto 16 gennaio
1995 del prefetto di Avellino era stata autorizzata l'occupazione di urgenza dei
suoli interessati dalla costruzione della linea e l'occupazione era stata
attuata il 23 marzo 1995.
Sosteneva poi che fosse da escludersi una concreta situazione di pericolo per la
salute, così dell'attore come in generale delle popolazioni interessate dal
passaggio della linea elettrica, perché, del resto in conformità di precisa
disposizione contenuta al riguardo nel decreto ministeriale di autorizzazione,
l'esercizio ne sarebbe avvenuto nel rispetto delle norme contenute nel Dpcm 23
aprile 1992, che, nell'ordinamento italiano, rappresenta l'unica fonte da cui
risultano stabilite le soglie di sicurezza e le distanze dei conduttori dagli
edifici. Nel caso, le distanze dall'edificio dell'attore era previsto fossero
anche superiori.
Sulla base di questa esposizione dei fatti, l'Enel concludeva chiedendo che la
domanda fosse rigettata nel merito; aggiungeva che in ogni caso il giudice
ordinario non avrebbe potuto ordinare la rimozione delle opere, a ciò ostando il
divieto fatto dall'articolo 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 All. E, perché
un tale ordine avrebbe importato la modificazione dei provvedimenti
amministrativi adottati dal ministro e dal prefetto.
3. - Il tribunale di Napoli, con sentenza del 4 marzo 1997,
dichiarava inammissibile per difetto di giurisdizione la domanda di condanna
alla rimozione delle opere e rigettava nel merito la domanda di risarcimento del
danno.
4. - La corte d'appello di Napoli, con sentenza del 23 aprile
1998, è anch'essa pervenuta, con motivazione in parte diversa, al rigetto della
domanda.
Ha svolto i seguenti argomenti.
Il giudice ordinario ha giurisdizione su domande proposte per far accertare che
da una condotta altrui è per derivare pericolo al suo diritto alla salute o ad
un diritto di proprietà.
Ma la domanda è, allo stato dei fatti, infondata.
L'attività di costruzione dell'elettrodotto si viene svolgendo sulla base di
provvedimenti non impugnati e legittimi sotto il profilo del rispetto dei limiti
di esposizione a campi elettromagnetici.
Per converso, siccome l'elettrodotto non è ancora entrato in funzione, non si
può accertare se, quando lo sarà, da esso si genererà una situazione di pericolo
per la salute.
Ciò esclude che possano ritenersi provati la messa in pericolo del diritto alla
salute e quindi anche il danno al diritto di proprietà.
5. - (...) ha proposto ricorso per cassazione.
L'Enel ha resistito con controricorso ed ha poi depositato una memoria.
Diritto
1. - Il ricorso contiene due motivi.
2. - Il primo denunzia la violazione di norme di diritto e di
norme sul procedimento (articolo 360, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., in relazione
all'articolo 32 Cost., agli articoli 1171 e 2043 cod. civ., all'articolo 100
cod. proc. civ.).
Il ricorrente considera che il nostro sistema giuridico non tutela solo il danno
patito, ma riconosce forme di tutela preventiva del diritto, che possono essere
esperite in presenza di un ragionevole pericolo che il danno si verifichi e sono
volte ad ottenere che il giudice inibisca che la condotta da cui deriva il
pericolo sia portata a compimento e produca danno.
Obietta l'Enel nel controricorso che l'attore ha proposto una domanda fondata su
un diritto relativo alla persona e non su un diritto relativo a cose e che
l'azione di danno temuto può essere esperita solo nel secondo caso e non anche
nel primo.
Il secondo motivo denuncia sotto altro aspetto gli stessi vizi (articolo 360,
nn. 3 e 4, cod. proc. civ. , in relazione agli articoli 1171 e 2043 cod. civ. e
115, secondo comma, cod. proc. civ.).
Vi si osserva che il giudice ordinario può inibire alla pubblica amministrazione
l'esecuzione di provvedimenti dalla cui attuazione derivi danno per la salute e
che, peraltro, secondo la comune esperienza, il valore di un immobile subisce un
decremento in una situazione in cui al suo godimento viene ad accompagnarsi
l'esposizione ad una situazione di pericolo.
L'Enel obietta che la domanda è stata rigettata perché il giudice ha ritenuto
che il pericolo dedotto dall'attore non era stato provato e non se ne poteva
acquisire la prova prima che la condotta si fosse manifestata nella sua
concretezza.
I due motivi, per le ragioni di seguito esposte, sono fondati.
3. - La situazione di fatto da cui ha preso avvio la causa è
incontroversa.
È stata autorizzata la costruzione e messa in esercizio di una linea di
trasmissione di energia elettrica avente tensione compresa tra i 220 ed 350 Kv e
sono state dichiarate di pubblica utilità, urgenti ed indifferibili, le opere
occorrenti.
Su tale base, essendo prevista l'imposizione di una servitù di elettrodotto, è
stata autorizzata l'occupazione in via di urgenza dei terreni su cui dovranno
essere realizzate le opere che costituiscono l'elettrodotto.
L'attore, temendo che l'esercizio dell'elettrodotto, per la distanza tra la
linea elettrica e la sua abitazione, dia luogo ad un'esposizione al campo
elettromagnetico generato dal passaggio dell'energia, capace di creare
pregiudizio per la sua salute, oltre che per la salute del suo nucleo familiare,
ha proposto una domanda per far accertare che, alla distanza indicata,
l'esposizione al campo elettromagnetico è fonte di pericolo per la salute. Ha
chiesto che a tale accertamento facciano seguito provvedimenti del giudice, di
inibitoria alla messa in esercizio dell'elettrodotto e di condanna al
risarcimento del danno, per il pregiudizio che alla sua proprietà ha già
arrecato la preventivata messa in esercizio dell'elettrodotto, in conseguenza
del diminuito valore di godimento del bene conseguente al pericolo di danno per
la salute cui potrebbero essere esposte le persone che in concreto vi
abitassero.
4. - La corte d'appello ha affermato che rientra nella
giurisdizione del giudice ordinario conoscere di tale domanda e sulla questione
si è formato il giudicato.
La ragione dell'affermazione fatta dalla corte d'appello va non di meno resa
esplicita: essa sta nella natura del diritto di cui si è chiesta tutela.
Il diritto alla salute, posto a base della domanda, è infatti un diritto
fondamentale dell'individuo, che l'articolo 32 Cost. protegge direttamente
(Corte cost. 26 luglio 1979 n. 88; 14 luglio 1986 n. 184; 18 dicembre 1987 n.
559; 27 ottobre 1988 n. 992; 22 giugno 1990 n. 307; 18 aprile 1996 n. 118).
La Corte costituzionale, nella sentenza 22 giugno 1990 n. 307, ha in particolare
considerato che un trattamento sanitario può essere imposto solo nella
previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che
vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro
temporaneità e scarsa entità, appaiono normali in ogni intervento sanitario, e
pertanto tollerabili.
Ha aggiunto, con riferimento all'ipotesi di ulteriore danno alla salute del
soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio, compresa la malattia contratta
per contagio causato da vaccinazione profilattica, che a giustificare la misura
sanitaria non è da solo sufficiente il rilievo costituzionale della salute come
interesse della collettività, perché tale rilievo "esige che in nome di esso, e
quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato,
restando così limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento
sanitario, anche se questo comporti un rischio specifico, ma non postula il
sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri".
Da ciò è conseguita l'affermazione che la legge deve prevedere un equo ristoro
del danno alla salute subito dal singolo in conseguenza dell'essersi dovuto
sottoporre ad un trattamento obbligatorio.
Se ne trae, logicamente, la conclusione, che siano da considerare prive di
efficacia giuridica le determinazioni contenute nei provvedimenti della pubblica
amministrazione, per la parte in cui possano risultare lesive della
conservazione dello stato di salute, anche quando i provvedimenti adottati
costituiscano in sè manifestazione di un potere ad altri fini previsto dalla
legge (Sez. Un. 6 ottobre 1979 n. 5172).
Ciò significa, riferendosi al caso in esame, che il provvedimento di
autorizzazione all'impianto e messa in esercizio della nuova linea elettrica ed
il conseguente provvedimento di imposizione della servitù di elettrodotto,
producono effetti ablativi in rapporto al diritto reale di proprietà, perché il
proprietario, oltre a dover tollerare la presenza od il passaggio sul suo fondo
degli impianti di cui consta l'elettrodotto, è impedito dall'eseguire sul fondo
costruzioni od in genere dallo svolgere attività che possano determinare
l'insorgere di situazioni di pericolo.
Ciò non significa, per contro, che il provvedimento di autorizzazione
all'impianto e messa in esercizio della linea elettrica ed il conseguente
provvedimento di imposizione della servitù possano produrre l'effetto giuridico
che, come risultato della prefigurata utilizzazione della linea per la
trasmissione dell'energia alla potenza prevista, debba essere subìto dalle
persone che hanno diritto di godere dell'immobile un pregiudizio del loro stato
di salute.
4.1. - Come si è visto, l'Enel oppone al ricorso due obiezioni.
L'ordinamento non consentirebbe di agire per far accertare che immissioni non
attuali, ma future potrebbero risultare di pregiudizio per la salute.
La corte d'appello avrebbe comunque escluso che sia stata data la prova della
pericolosità delle radiazioni suscettibili d'essere generate dall'esercizio
dell'elettrodotto.
Questa seconda obiezione non ha però riscontro nella decisione del giudice di
merito.
La corte d'appello non ha detto, dopo aver esaminato la documentazione prodotta
dall'attore, che essa non era idonea a dimostrare l'assunto, ovverosia che
l'esposizione alle radiazioni in futuro generate dall'elettrodotto potevano
risultare nocive per la salute, nè ha detto che una tale prova non avrebbe
potuto essere acquisita affidando a tecnici indagini dello stesso tipo di quelle
sulla cui base erano stati elaborati i documenti prodotti dall'attore.
Ha detto bensì che, sino a quando l'elettrodotto non fosse entrato in funzione,
non sarebbe stato possibile accertare la concreta pericolosità dell'impianto.
Dunque, secondo la corte d'appello, prima deve essere posta in essere la
situazione in cui è insita la esposizione della salute a pericolo, poi
l'ordinamento consentirebbe di accertare che il pericolo c'è e permetterebbe di
mettere in atto le misure idonee ad impedire che la salute resti menomata.
Si è quindi ricondotti alla prima obiezione.
4.2. - L'attore ha agito per far accertare e dichiarare che
l'entrata in funzione dell'elettrodotto, per il fatto che l'Enel ha stabilito di
farvi passare energia ad una determinata potenza, non mancherà di esporre a
pericolo la conservazione dello stato di salute suo e dei suoi familiari, in
quanto in concreto godono del fondo come proprietari.
Ha agito per ottenere che, sulla base di tale accertamento, sia dichiarato il
suo diritto a non subire l'esposizione a tale pericolo e sia inibito al
convenuto di tenere il comportamento in vista del quale i provvedimenti prima
richiamati sono stati adottati.
La domanda, per le ragioni su cui si fonda, perché si afferma che il
comportamento in parte già tenuto, preordinato com'è alla messa in esercizio di
un elettrodotto, una volta che questo inizierà a funzionare, metterà in pericolo
la salute dell'attore e va quindi impedito, è una domanda con cui è fatta valere
una responsabilità da illecito (articolo 2043 cod. civ.), perché è in contrasto
con la protezione costituzionale del diritto alla salute un comportamento
preordinato a determinarne la messa in pericolo.
Contrariamente a quanto ha affermato la corte d'appello, non è necessario che il
danno si sia verificato, perché il titolare del diritto possa reagire contro la
condotta altrui, se essa si manifesta in atti suscettibili di provocarlo.
In termini generali, può dirsi che la protezione apprestata dall'ordinamento al
titolare di un diritto si estrinseca prima nel vietare agli altri consociati di
tenere comportamenti che contraddicano il diritto e poi nel sanzionare gli
effetti lesivi della condotta illecita obbligando il responsabile al
risarcimento del danno.
Con specifico riferimento al diritto alla salute, sarebbe contraddittorio
affermare che esso non tollera interferenze esterne che ne mettano in
discussione l'integrità e ammettere che alla persona sia data la sola tutela del
risarcimento del danno e non anche quella preventiva.
La Corte costituzionale, nella sentenza 30 dicembre 1987 n. 641, ha
espressamente affermato che, in tema di lesione della salute umana, è possibile
il ricorso all'articolo 2043 cod. civ. e che si è cosi in grado di provvedere
non solo alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato, ma anche di
prevenire e sanzionare l'illecito.
D'altro canto, dalla premessa che l'attribuzione di poteri ablatori ordinati a
procurare alla pubblica amministrazione la disponibilità di beni, non può
derivare l'effetto che ne risulti compromesso il diritto alla salute, questa
Corte ha già in altre occasioni tratto l'enunciazione del principio per cui il
privato può chiedere al giudice ordinario provvedimenti non di sola condanna al
risarcimento del danno (Sez. Un. 16 luglio 1983 n. 4889; 10 dicembre 1984 n.
6476), ma anche di condanna ad un fare (Sez. Un. 20 febbraio 1992 n. 2092), in
confronto della pubblica amministrazione o di concessionari di pubblici servizi.
E perciò può essere chiesto al giudice di inibire all'amministrazione il
comportamento costituito dal porre in esercizio un impianto che, iniziando a
funzionare con le modalità previste, è accertato possa determinare una
situazione di messa in pericolo della salute.
L'inibitoria, d'altro canto, può tradurre in comando un accertamento dal quale
risulti in quali condizioni e con quali accorgimenti l'opera può essere posta in
esercizio ed il pericolo per la salute può essere evitato.
4.3. - Sono necessarie alcune altre considerazioni.
L'ordinamento non manca di una disciplina specifica circa i limiti massimi di
esposizione ai campi elettrici e magnetici generati dagli elettrodotti: essa è
stata dettata con il Dpcm 23 aprile 1992, emanato in base all'articolo 4,
secondo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833.
Che una disciplina di questo tipo ci sia mostra che, allo stato delle conoscenze
scientifiche, l'esposizione ai campi elettrici e magnetici generati da
elettrodotti, se siano superati determinati limiti massimi, è considerata fonte
di possibili effetti negativi sulla conservazione dello stato di salute.
Essa costituisce d'altro canto espressione di uno degli obiettivi del sistema
sanitario, la prevenzione delle malattie e degli infortuni in ogni ambito di
vita, oltre che di lavoro (articolo 2 della legge 833 del 1978).
Dato il presupposto che è alla loro base, e data la natura di normazione
secondaria che è loro propria, discipline di questo tipo hanno il valore di
impedire che possa essere tenuta una condotta che vi contrasti.
Non hanno quello di rendere per sè lecita la condotta che vi si uniformi.
Queste discipline ritraggono il fondamento della loro legittimità dall'essere
adeguate allo stato delle conoscenze circa i possibili effetti negativi dei
fenomeni presi in considerazione ed è la stessa legge primaria a prevedere che
debbano essere oggetto di periodica revisione.
Dunque, la presenza di tali discipline costituisce conferma del fatto che alla
protezione costituzionale del diritto alla salute inerisce sul piano sostanziale
il diritto dell'individuo a che sia impedito agli altri consociati, ma anche
alla pubblica amministrazione, di tenere condotte, che possono ingenerare il
sorgere di patologie, come risultato dell'immissione nell'ambiente di fattori
inquinanti.
E perciò rientra nei poteri del giudice ordinario, in un processo iniziato sulla
base di una domanda quale quella proposta dall'attore, accertare se, sulla base
delle conoscenze scientifiche acquisite nel momento in cui si tratta di decidere
sulla domanda, avuto riguardo anche alla situazione del caso concreto, vi sia
pericolo per la conservazione dello stato di salute nella esposizione al fattore
inquinante di cui si tratta, ancorché tale esposizione si determini nel rispetto
dei limiti massimi stabiliti dalla disciplina di rango secondario vigente al
momento della decisione.
Momento essenziale di tale accertamento, perché se positivo ad esso consegue che
la condotta debba essere inibita, è che la condotta contraria, se lasciata
svolgere, determinerà una situazione di esposizione al fattore inquinante
suscettibile di compromettere la conservazione dello stato di salute.
Che la situazione di esposizione al fattore inquinante contenga in sè tale
potenzialità costituisce anch'esso un tratto essenziale del fatto da accertare e
la potenzialità, come in ogni caso in cui si tratta di stabilire se in futuro
potrà determinarsi un evento come conseguenza di un fatto presente, deve essere
accertata considerando se sia da considerare dimostrato un numero di casi in cui
l'evento si è prodotto, sufficiente ad autorizzare, in un giudizio che fosse
compiuto ad evento avvenuto, la conclusione che il fatto costituisce la causa
dell'evento.
4.4. - Concludendo, la domanda proposta dall'attore non avrebbe
potuto essere rigettata in base all'argomento che sino a quando l'elettrodotto
non fosse entrato in funzione non poteva stabilirsi se avrebbe arrecato danno.
Questo equivale a dire che il diritto alla salute deve prima essere esposto a
compromissione e poi può trovare tutela, ma solo in forma repressiva, mediante
condanna al risarcimento del danno, anche in forma specifica.
Si è visto invece che la tutela può essere preventiva e sostanziarsi in una
inibitoria.
Perciò, il giudice di merito non avrebbe potuto rifiutarsi di accertare se il
diritto alla salute di quanti si fossero trovati ad abitare sul fondo
dell'attore sarebbe risultato esposto al pericolo di rimanere compromesso
dall'esposizione ai campi elettromagnetici generati dall'elettrodotto, una volta
che fosse entrato in funzione e per come ne era preventivato l'esercizio.
Questo accertamento, naturalmente, avrebbe dovuto essere condotto valutando gli
elementi di prova prodotti in giudizio dalla parte (articoli 115 e 116 cod.
proc. civ.), salvo a far ricorso ad indagini tecniche, se il giudice l'avesse
ritenuto necessario (articolo 61 cod. proc. civ.).
5. - Il ricorso è accolto.
La sentenza impugnata è cassata e le parti sono rimesse davanti al giudice di
rinvio, che si indica in diversa sezione della corte d'appello di Napoli.
Il giudice di rinvio, si uniformerà al seguente principio di diritto: - "La
tutela giudiziaria del diritto alla salute in confronto della pubblica
amministrazione può essere preventiva e dare luogo a pronunce inibitorie, se,
prima ancora che l'opera pubblica sia messa in esercizio nei modi previsti, sia
possibile accertare, considerando la situazione che si avrà una volta iniziato
l'esercizio, che nella medesima situazione è insito un pericolo di
compromissione per la salute di chi agisce in giudizio".
Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese di questo grado del giudizio.
P.Q.M
La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia anche per le spese, ad altra
sezione della corte d'appello di Napoli.
Cosi deciso il giorno 9 dicembre 1999, in Roma, nella camera di consiglio della
terza sezione civile della Corte suprema di cassazione.